Attenti all’effetto Cassandra - Il caso del glifosato, tra scienza e bufale
Periodicamente le controversie sull'utilizzo di prodotti che contengono glifosato occupano l'attualità. Per fare chiarezza con rigore scientifico, vi proponiamo alcuni contributi: un articolo a firma di Marcello Lotti, pubblicato su Il Sole 24 Ore, preceduto da un appunto inedito dell'autore realizzato per SITOX. A seguire il comunicato stampa che la nostra società ha divulgato in aprile, dopo la sentenza che ha condannato Bayer ritenendola responsabile della malattia di un uomo che ha utilizzato un prodotto a base dell'erbicida.
di Marcello Lotti
"Da quando i matematici hanno invaso la teoria della relatività non la capisco più nemmeno io". Così Albert Einstein ironizzava sul progressivo divario tra il lavoratore intellettuale e il non specialista. Il risarcimento milionario a cui è stata condannata la Bayer per un caso di neoplasia attribuita al glifosato evidenzia al riguardo due aspetti dei rapporti deteriorati tra Scienza e Società quali si osservano oggi e che inducono ad una simile amara ironia. Negli USA numerosi avvocati patrocinano gratuitamente in cause civili le "vittime" contro le multinazionali investendo in proprio, con costi spesso non indifferenti, con l'accordo però di una spartizione fifty fifty dei possibili risarcimenti futuri. Per questa attività imprenditoriale molti avvocati hanno acquisito un'infarinatura scientifica con la quale si sostituiscono spesso agli scienziati, creando ad hoc la loro "scienza". Questo quanto è probabilmente successo. La diatriba scientifica sui rischi posti dal glifosato è stata poi risolta da una giuria di ignoranti e incompetenti che ne ha sancito la cancerogenicità trasformando labili e contradditori indizi in granitiche (e milionarie) certezze.
Una triste considerazione ci fa concludere che "tutto il mondo è paese", in USA come da noi, non esistono più la Scienza con le sue verità ma solo il "parere" scientifico espresso da chiunque, naturalmente tutti con pari dignità. Democrazia?!
Attenti all'effetto Cassandra (di Marcello Lotti, Il Sole 24 Ore Domenica 22 Maggio 2016).
La complessità del mondo in cui viviamo inevitabilmente ci porta a credere in quello che ci dicono. Ma i messaggi che ci arrivano sono spesso confusi, talvolta contradditori. Un recente esempio è dato dalle valutazioni del rischio di contrarre il cancro legato all'uso di un erbicida, il glifosato, e da una conseguente votazione del Parlamento Europeo. L'Agenzia Internazionale della Ricerca sul Cancro (IARC) afferma che il glifosato è probabilmente cancerogeno per l'uomo, l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) conclude invece che probabilmente non lo è. A quest'ultima conclusione è giunto recentemente anche il Joint Meeting on Pesticides Residues (JMPR) che come IARC è parte delle attività dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Infine, il Parlamento Europeo, alla scadenza dell'autorizzazione vota a maggioranza la richiesta alla Commissione di estendere gli usi del glifosato per 7 invece che per 15 anni.
IARC basa il giudizio su alcuni studi epidemiologici caso-controllo che mostrano un'associazione positiva tra esposizione a glifosato e linfomi non-Hodgkin (un gruppo di neoplasie maligne delle cellule linfoidi) anche se non esclude che possa essere dovuta al caso, a errori o fattori di confondimento. Inoltre, in due studi sui topi è stato osservato un aumento di tumori maligni. EFSA e JMPR considerano invece che l'evidenza epidemiologica di un'associazione tra glifosato e linfoma non-Hodgkin sia limitata e nell'insieme non conclusiva per una correlazione causale o una chiara associazione tra glifosato e cancerogenicità nell'uomo. Anche gli studi sugli animali non sono indicativi perché viziati dalla somministrazione di dosi eccessivamente elevate che causano altri effetti tossici e solo secondariamente a questi il cancro. Sull'analisi dei dati disponibili le due agenzie si scambiano accuse di omissioni ed errori e non c'è che esserne sconcertati considerando che le valutazioni sono basate sullo stesso data-base. Da questo si ricava in realtà che la maggior parte degli studi epidemiologici sono negativi. Gli studi di cancerogenicità sui ratti sono negativi e sui topi mostrano risultati incoerenti. Quelli di genotossicità in vivo sono anche negativi.
Necessariamente le valutazioni dei rischi legati all'uso di sostanze derivano da un intreccio tra scienza e affermazione di valori che porta a compromessi tra limitata comprensione degli effetti tossici e necessità di intervento. Ne consegue però che pregiudizi, ideologia e irrazionalità possono trovare spazio in accomodanti malleabilità di giudizio. La domanda da porsi è quindi: quanta scienza e quanto (pre)giudizio si combinano? Dai rapporti tra queste componenti derivano diverse conclusioni. Non c'è quindi da meravigliarsi troppo se gli scienziati, valutando il data-base del glifosato, hanno opinioni diverse ma bisognerebbe anche capire come vengono cooptati o esclusi e soprattutto se le loro conclusioni vengano sottoposte alla consueta prassi di peer-review, cosa che non avviene per i risultati dei gruppi di lavoro IARC. C'è anche da domandarsi perchè IARC sia adusa a comunicare in modo perentorio le valutazioni, nel caso del glifosato basate su labili indizi, che possono creare incomprensioni, sconcerto e suscitare polemiche come successo per la carne lavorata (cancerogena per l'uomo) e quella rossa (probabilmente cancerogena per l'uomo). Fortunatamente precisazioni, distinguo e pareri di esperti hanno già riportato alle giuste dimensioni un fatto che coinvolge gran parte dell'umanità. La comunicazione dei rischi ha quindi altrettanta importanza quanto la loro valutazione e soprattutto ne determina la percezione perché, come dimostrava Umberto Eco, la percezione dei fatti viene diversamente influenzata se vengono dati maggiori dettagli e se le circostanze vengono comprese. Del resto, già Raymond Queneau illustrò nei suoi Esercizi di stile come uno stesso fatto possa venir raccontato in modi diversi, mantenendo il significato ma determinando percezioni diverse.
Infine, la decisione del Parlamento Europeo è poco comprensibile. Dal punto di vista della salute pubblica qual è il senso di ridurre da 15 a 7 anni la durata del suo impiego? Se il glifosato fosse cancerogeno per l'uomo ne andrebbero banditi gli usi come anche, applicando il principio di precauzione, se vi fossero seri dubbi. Se invece non è cancerogeno perché la riduzione a 7 anni? Un voto forse dettato da qualche compromesso tra rischi e benefici di varia natura o da necessità di approfondimento, oppure perché come disse Henry Kissinger, uno che se ne intende, il politico è incapace di apprendere qualcosa che vada contro le sue convinzioni?
C'è anche da porsi molte altre domande. Come vengono trattati nelle valutazioni di rischio i valori della scienza, in particolare quelli legati all'aderenza ai fatti e alla coerenza dei risultati? Deve forse cambiare qualcosa nel valutare la causalità epidemiologica e nei postulati usati negli studi di cancerogenesi negli animali, quale ad esempio quello di somministrare la massima dose tollerabile per amplificare un'eventuale risposta cancerogena? Certamente la cancerogenicità di una sostanza viene rappresentata al fine di intervenire e l'intervento avviene alla luce della rappresentazione. Ma cosa succederebbe qualora si scoprisse che il cibo quotidiano contiene una gran varietà di sostanze naturali dimostratesi cancerogene nei roditori? Acido caffeico nei vegetali, furfurale nel pane bianco, cumarina nella cannella, 8-metossiprosalene nel prezzemolo ed altri. Quanti studi epidemiologici saranno intrapresi e quali decisioni prenderà la politica? Al momento sappiamo che le popolazioni che hanno avuto accesso negli ultimi decenni a questi cibi (carne compresa) hanno anche visto allungare la loro aspettativa di vita.
In conclusione, osservando ad esempio che asbesto, salami e salsicce sono classificati da IARC nello stesso modo riguardo alla cancerogenicità, quello che potrebbe accadere e forse sta già accadendo è qualcosa di simile al paradosso di Cassandra per cui anche valutazioni razionali non verranno credute. Gli effetti potrebbero essere disastrosi.
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Glifosato, Bayer condannata. Ma ecco cosa dicono i dati sulla tossicità. L'analisi della Società Italiana di Tossicologia, tra scienza e bufale (Comunicato stampa SITOX, 19 aprile 2019).
Una giuria USA ha fatto condannare Bayer per oltre 80 milioni di dollari ritenendola responsabile della malattia di un uomo. L’erbicida glifosato, prodotto dalla multinazionale, è anche nel mirino dei movimenti ambientalisti, ma né le giurie né gli ambientalisti sono scienziati. Da che parte sta la verità? Bisogna districarsi nella galassia delle definizioni: secondo IARC il glifosato è «probabilmente cancerogeno», la stessa categoria della carne rossa. Ma non considera che la tossicità dipende sempre dalla dose. E anche se risultasse «sicuramente cancerogeno» la quantità di glifosato da assumere per ammalarsi non è assimilabile dall’uomo nemmeno se si esponesse a impensabili quantità di alimenti contaminati da questa sostanza tutti i giorni, per tutta la vita.
Una giuria statunitense ha riconosciuto a un uomo californiano danni per oltre 80 milioni di dollari, ritenendo che abbia contratto un cancro a causa dell’esposizione al diserbante Roundup, a base di glifosato, prodotto da Monsanto, di proprietà di Bayer. Da anni si discute sulla tossicità del glifosato, per altro nel mirino di numerosi movimenti ambientalisti ma ritenuto sicuro dagli scienziati che si occupano di sicurezza alimentare e ambientale. Si tratta di un erbicida introdotto in agricoltura negli anni Settanta dalla multinazionale Monsanto. Per la sua bassa tossicità rispetto agli erbicidi usati all’epoca è stato molto usato anche in aree urbane, boschi e frutteti.
Per la autorizzazione all’immissione in commercio di qualsiasi fitofarmaco secondo la direttiva comunitaria 91/414/CEE , anche per il glifosato, è stato obbligatorio condurre studi sperimentali di tossicità acuta, di tossicità in seguito a somministrazione ripetuta (fino a due anni) e di cancerogenesi, di tossicità riproduttiva, di tossicità dello sviluppo e di genotossicità (tossicità al DNA) in vitro e in vivo al fine di determinare le dosi considerate sicure per la popolazione nel caso assumesse cibi contaminati da residui dell’erbicida. L’autorizzazione all’uso commerciale, concessa per un certo numero di anni dalla Commissione Europea in base alla valutazione finale di sicurezza di EFSA viene rinnovata periodicamente sulla base dell’esame, da parte di gruppi di scienziati che si occupano di sicurezza sia umana che ambientale, delle evidenze scientifiche più recenti.
Valutazioni relative al potenziale cancerogeno del glifosato, sono state fornite da più organismi internazionali, due appartenenti alla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) cioè la International Agency for Research on Cancer (IARC) e il Joint Meeting on Pesticide Residues (JMPR) che si sono espressi in maniera antitetica in quanto la IARC valuta solo il pericolo intrinseco di una sostanza mentre il JMPR valuta il rischio derivante dall’esposizione ad una sostanza chimica in funzione della dose, cioè definendo delle soglie al disotto delle quali la sostanza viene definita “sicura”. La European Food Safety Authority (EFSA) si è espressa più volte definendo l’uso del Glifosato sicuro a certe dosi di esposizione definendo la Dose Giornaliera Accettabile (ADI) per il consumatore sia adulto che giovane. Anche la Environmental Protection Agency degli Stati Uniti (US-EPA) ha approvato l’uso del glifosato poiché ritenuto privo di attività cancerogena. Entrambi i termini, pericolo e rischio, servono a stabilire, in maniera scientifica, la sicurezza d’uso delle sostanze chimiche e dei prodotti che le contengono. Quale pericolo, e quale rischio, è associato al glifosato?
A questo punto, se si vuole fare una corretta analisi del problema, anche per riportare equilibrio nel dibattito sui mass media, vale la pena di entrare merito delle definizioni. In tossicologia non esistono i sinonimi: le parole «rischio» e «pericolo» sono spesso utilizzate, nel linguaggio comune, in modo interscambiabile, ma non è così.
«Pericolo» è il modo con cui una sostanza o una situazione possono causare un danno, quindi un pericolo sussiste quando una sostanza o una situazione hanno la capacità intrinseca di causare un effetto avverso. Pericoloso è, per esempio, un veleno. «Rischio» è invece la probabilità che il danno alla persona si verifichi realmente. Quindi il rischio esiste se la persona è esposta (e in quale misura) al pericolo, nel nostro esempio un veleno. Perché se non ci esponiamo (o non ci esponiamo ad una certa quantità, “dose”) a un veleno, esso continua ad essere pericoloso, ma a noi non risulta alcun danno. Così come alcuni funghi molto tossici lo sono sempre, ma se non li cogliamo e se non ne ingeriamo abbastanza tossici non risultano esserlo.
A complicare le cose intervengono altre definizioni (Ecco perché potrebbe essere facile sbagliarsi nel dibattito pubblico, sui mass media o anche da parte di una giuria che non è formata scienziati e tossicologi).
IARC ha classificato il glifosato come «probabilmente cancerogeno». IARC divide sostanze e abitudini in «cancerogene» (gruppo 1), «probabilmente» (gruppo 2) e «possibilmente cancerogene» (grupo 2B). Il glifosato è stato inserito nel gruppo 2A, come la carne rossa e i fumi della frittura. Nel gruppo 1 troviamo carni lavorate ed etanolo, quindi anche salumi e vini tipici del made in Italy.
Questo è quanto sostiene IARC. Ma passando dalle definizioni al caso concreto OMS, EFSA e l’ECHA (Agenzia europea delle sostanze chimiche) sostengono che il glifosato è improbabile che sia cancerogeno. Secondo i dati del JMPR, panel di scienziati interni a OMS e FAO, presi i livelli massimi di glifosato riscontrati nella pasta (0,3 mg/kg, ossia 0.00003%), una persona di 70 kg potrebbe mangiare ogni giorno 230 kg di pasta, senza riportare danni per via del glifosato. Ecco perché la Società Italiana di Tossicologia (SITOX) insiste sul fatto che quando si parla di sicurezza d’uso delle sostanze, non si può prescindere dal parlare anche della dose. E proprio al concetto di dose SITOX dedicherà il prossimo Congresso Nazionale, in calendario a febbraio 2020.
La pericolosità di una sostanza è intrinseca, ed è una caratteristica astratta, mentre il rischio dipende dalle condizioni di utilizzo ed è una stima quantitativa della probabilità che un evento avverso possa accadere. Solo la valutazione quantitativa del rischio è quindi strumento utile a prendere decisioni, mentre applicare esclusivamente la definizione di pericolo per fare valere giudizi è un’operazione fuorviante, da un punto di vista comunicativo, soprattutto quanto induce allarmi nella popolazione.
Per esempio, potremmo portare in tribunale una varietà di sostanze naturali che si sono dimostrate cancerogene nei roditori, come il metil-eugenolo nel basilico, l’acido caffeico nei vegetali, il furfurale nel pane bianco, la cumarina nella cannella, 8-metossiprosalene nel prezzemolo e molti altri altri. Se applicassimo a queste sostanze lo stesso metro che è stato applicato al glifosato, senza contestualizzarle e quindi parlare di rischio effettivo, dovremmo fare causa anche a madre natura che produce le sostanze più tossiche in assoluto come le aflatossine la cui tossicità è milioni di volte quella di qualsiasi sostanza di sintesi mai prodotta e immessa sul mercato, dopo aver compiuto tutte le prove previste obbligatoriamente dai regolamenti comunitari e internazionali e vietare, precauzionalmente, la maggior parte dei cibi che, ad oggi, hanno allungato l’aspettativa e la qualità di vita dell’uomo in Europa e in continenti dove l’uso dei fitofarmaci è addirittura obbligatorio al fine di ridurre malattie endemiche come la malaria e la febbre gialla, solo per fare alcuni esempi.