Quante paure infondate sulla insalubrità dell'acqua potabile
di Angelo Moretto.
È da poco stato pubblicato il Dossier acque potabili 2020. Sicurezza delle acque a uso potabile. Nuovi indicatori di qualità per gli agrofarmaci, di Donatello Sandroni, noto divulgatore e giornalista scientifico sui temi dell’agricoltura. Il dossier è liberamente scaricabile.
Per concessione dell’autore pubblichiamo la postfazione al dossier di Angelo Moretto.
Si perdono nella notte dei tempi le considerazioni “scientifiche” che hanno portato nel corso degli anni ’70 del secolo scorso l’Unione Europea, quando ancora era una Comunità di 6 e poi 9 stati membri, a fissare, nel 1980, il limite di 0,1 μg/litro quale concentrazione massima ammissibile di ogni principio attivo dei prodotti fitosanitari nell’acqua potabile. Ancora più oscure sono le basi del limite di 0,5 μg/litro se i principi attivi sono più d’uno. Ma di questo parlerò più avanti.
Ritorniamo all’insensato, alla luce delle conoscenze scientifiche odierne, limite di 0,1 μg/litro, che compare nella direttiva del 1980, citata da Sandroni, e da allora immutato, ancorché gli aggiornamenti alla Direttiva siano stati fatti per “la necessità di adeguare al progresso scientifico e tecnologico”.
Nonostante ricerche da topo d’archivio (elettronico), non è stato possibile rintracciare un documento che spieghi compiutamente le basi di questa decisione: si possono fare solo delle congetture (1) o ricorrere alla memoria storica delle persone che hanno vissuto quegli eventi o ne sono stati prossimi.
In quegli anni, le conoscenze sulla tossicità dei principi attivi dei prodotti fitosanitari era carente e certamente non paragonabile a quella odierna. Il sistema di stretta regolamentazione ora attivo in Unione Europea era di là da venire, l’Environmental Protection Agency (EPA) statunitense non era ancora nata. FAO e OMS dai primi anni ’60 facevano delle valutazioni, ma solo dei, non molti, composti maggiormente utilizzati nel mondo.
A fronte di questa ignoranza o incertezza conoscitiva, la decisione dell’UE, allora forse legittima, è stata quella di fissare un limite che fosse un surrogato di zero esposizione. Infatti, solo l’assenza di esposizione poteva dare la “certezza” di assenza di effetti avversi sulla popolazione, stante le carenze conoscitive.
Fin qui la congettura che si può derivare dai documenti disponibili. Perché, allora, fissare 0,1 μg/litro?
Certamente, un numero che cominci per zero virgola, suona più rassicurante di un numero che inizi con unità, decine o, peggio, centinaia. Al di là dello scherzo, oltre a congetturare sulle possibilità analitiche del tempo, interviene anche la memoria storica. Chi scrive è sufficientemente avanti con gli anni da aver conosciuto chi ha potuto tramandare che questo numero derivava dalla considerazione che i diversi composti avevano, ovviamente, diversi limiti di rilevabilità: 0,1 μg/litro era, grossolanamente, il limite di rilevabilità più elevato fra questi ed è stato scelto, per “par condicio”, per tutti i composti, anche per quelli che avevano limiti di rilevabilità più bassi che altrimenti sarebbero stati penalizzati.
Una considerazione a parte, come accennato, merita il limite fissato in caso di presenza di più principi attivi. Il valore di 0,5 μg/litro ha ancora meno giustificazione “scientifica”. Non si capisce perché messi insieme possano avere limite più elevato, e di 5 volte, e non 7 o 3, ad esempio. In questo caso, non rimane che invocare quello che gli americani definiscono come una decisione per “feel good” (sentirsi bene).
Quindi, i limiti attuali, che non sono mai stati modificati nelle successive Direttive, non hanno alla base alcuna valutazione quantitativa della tossicità dei principi attivi, cioè una valutazione di rischio, come ha ben spiegato Sandroni.
La semplice classificazione come prodotto fitosanitario fa ricadere il composto nella ghigliottina dello 0,1 μg/litro. E di classificazioni, cioè valutazioni qualitative, che portano diritti alla ghigliottina purtroppo non c’è solo questa in UE. Ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontani.
Potremmo considerare che nel 1980 questi limiti fossero coerenti con il cosiddetto “principio di precauzione”, che ricordo è un principio che dovrebbero applicare i gestori e non i valutatori del rischio. Certamente, pur nella sua confusa definizione, il “principio di precauzione” prevede che le decisioni siano riviste ed, eventualmente, modificate in seguito all’acquisizione di conoscenze scientifiche.
Questo non è stato certamente il caso dei prodotti fitosanitari, per i quali non solo abbiamo una mole di informazioni tossicologiche inimmaginabile per qualsiasi altra categoria di prodotti, ma la regolamentazione comunitaria e, in generale, mondiale e il miglioramento tecnologico hanno condotto all’eliminazione dei composti con caratteristiche tossicologiche meno favorevoli e all’introduzione di composti moderatamente o per nulla tossici per l’uomo. Eppure, il limite di 0,1 μg/litro non è stato modificato. Bene, quindi, ha fatto Sandroni a stimare dei limiti di concentrazione in acqua potabile basati sulla valutazione di rischio, ovvero quantitativa, per la salute.
Nel fare questo, non ha che seguito quello che hanno sempre fatto, per esempio, l’OMS, gli australiani e gli statunitensi, e che l’UE non sembra, purtroppo, al momento intenzionata a fare. Da notare anche che, pragmaticamente, l’OMS (2) ha deciso di non stabilire limiti per quei composti che hanno scarsa probabilità di essere ritrovati nell’acqua potabile o ritrovati a concentrazioni molto basse (molto più basse rispetto a quelle ritenute di rilievo tossicologico).
A margine, osservo che le Direttive sull’acqua potabile aggiungono confusione quando utilizzano in modo intercambiabile i termini “qualità”, “salubrità”, “pulizia” dell’acqua, non essendo sempre chiaro se “qualità” deve intendersi come un giudizio estetico o una valutazione tossicologica, come, invece, chiaramente sottinteso dalla parola “salubrità”.
Speriamo che questa meritevole operazione di Sandroni serva almeno a far capire agli addetti alla gestione delle acque potabili che il superamento del limite di 0.1 μg/litro non configura un rischio per la salute e non richiede provvedimenti di urgenza per salvaguardare la salute.
O meglio, servono solo a salvare la salute psicofisica dei responsabili della sanità pubblica dagli attacchi e insulti attraverso i “social” (talora molto poco “social”) media.
I limiti correttamente derivati da Sandroni sono così elevati rispetto allo zero virgola che è da escludere che in seguito all’ingestione di acqua vi possa essere un rischio per la salute della popolazione, se non quello associato all’ansia da mancata informazione e comprensione del significato dell’insensato (scientificamente) limite.