9 maggio 2019
⚠️ Un'altra crociata contro il #glifosato: quando le opinioni hanno la meglio sui dati.
Periodicamente il tema sul glifosato torna in auge, non solo per le cause intentate contro l’azienda produttrice Monsanto, ora controllata dalla Bayer, ma anche per alcuni studi scientifici svolti e per i rapporti stilati da varie agenzie.
Negli ultimi giorni sono due le notizie inerenti all’erbicida che stanno causando notevole clamore mediatico. La prima riguarda un documento dell'Agenzia per l'Ambiente statunitense (EPA) nel quale si afferma che il glifosato non è cancerogeno e il suo utilizzo in accordo con le indicazioni riportate sull'etichetta non comporta rischi per la salute pubblica. Questo documento conferma un report della stessa Agenzia del 2017 nel quale si escludeva l’insorgenza di tumori a causa dell’utilizzo del prodotto.
È doveroso ricordare che l’EPA, a differenza dello IARC che classifica il glifosato come cancerogeno, è un’agenzia che si occupa di valutazione del rischio e non della sola classificazione basata sul pericolo, ovvero senza alcuna considerazione quantitativa della dose e dell’esposizione. Inoltre, essendo un ente regolatorio, le cui decisioni hanno dirette ricadute legislative, l’EPA ha disponibilità di dati più copiosi rispetto allo IARC che ha ruolo e modalità operative diverse.
L’altra recente notizia riguarda uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports svolto da Michael K. Skinner e dal suo gruppo di ricerca. Lo studio dimostrerebbe gli effetti dannosi del glifosato nella discendenza di ratti esposti, ma le conclusioni sono state contestate. Secondo il Gruppo Informale Scienze e Tecnologie per l'Agricoltura (SeTA) l'analisi ha diversi errori, che ne inficiano le conclusioni, a cominciare dalle dosi utilizzate nella sperimentazione, in quanto superano di gran lunga le dosi sicure definite da tutti gli enti nazionali e internazionali che hanno un qualche ruolo nella regolamentazione.
Inoltre, i risultati sono stati ottenuti con un metodo non rientrante nei protocolli indicati dall’OECD con una via di somministrazione, quella intraperitoneale, assolutamente non consona con la normale via con cui la popolazione entra in contatto con i residui di glifosato, cioè la via orale.
Per un uomo adulto di 70 kg, l'esposizione media giornaliera si aggirerebbe fra i 40 e i 60 ng/kg, che risulta essere fra le 400 mila e le 600 mila volte circa al di sotto delle dosi impiegate in questo studio.
Infine, lo studio rappresenta errori non solo di calcolo ma anche di spiegazioni dei meccanismi molecolari. Si fa confusione tra l’effetto epigenetico intergenerazionale e l’ereditarietà epigenetica transgenerazionale. La prima si riferisce all'effetto diretto di un agente sull’epigenetica della madre esposta ad una data sostanza e agli effetti di esposizione che la medesima ha sul feto.
Il termine intergenerazionale indica il fatto che una sostanza ha effetti epigenetici simultaneamente su madre e feto, dato che anche quest’ultimo ha direttamente preso contatto con l'agente in fase di studio, ma ciò non implica un passaggio reale di “informazione” tra generazioni. Invece si ha ereditarietà epigenetica transgenerazionale quando una sostanza induce una modificazione epigenetica nella madre, o nel padre e tale variazione epigenetica viene trasmessa alla prole, senza che la prole sia stata direttamente esposta.
Nello studio si fa confusione riguardo a questi due concetti e i dati ottenuti nelle generazioni non esposte direttamente al glifosato sono contraddittori nei confronti del meccanismo proposto, anche perché nelle generazioni successive, le modifiche sono diverse.
Da notare, a margine, che il lavoro di Skinner e del suo gruppo di ricerca non solo è stato finanziato da una fondazione già nota per finanziare programmi antiscientifici, come gli studi sui cambiamenti climatici e sulle cellule staminali, ma lo stesso gruppo in passato ha pubblicato dati inaffidabili e manipolati su altri studi che vengono pure citati in supporto del loro stesso lavoro.
In conclusione, non ci sono nuovi dati sul glifosato che possano far cambiare le conclusioni raggiunte da tutti gli enti regolatori internazionali, da ultima quella dell’EPA, sulla assenza di rischi tossicologici in senso generale e, specificamente anche cancerogeni, per l’uomo derivanti dall’uso del glifosato.
Bibliografia:
https://www.setanet.it/wp-content/uploads/2019/05/Glifosate_Skinner_et_al-review11.pdf
https://www.epa.gov/ingredients-used-pesticide-products/glyphosate
Periodicamente il tema sul glifosato torna in auge, non solo per le cause intentate contro l’azienda produttrice Monsanto, ora controllata dalla Bayer, ma anche per alcuni studi scientifici svolti e per i rapporti stilati da varie agenzie.
Negli ultimi giorni sono due le notizie inerenti all’erbicida che stanno causando notevole clamore mediatico. La prima riguarda un documento dell'Agenzia per l'Ambiente statunitense (EPA) nel quale si afferma che il glifosato non è cancerogeno e il suo utilizzo in accordo con le indicazioni riportate sull'etichetta non comporta rischi per la salute pubblica. Questo documento conferma un report della stessa Agenzia del 2017 nel quale si escludeva l’insorgenza di tumori a causa dell’utilizzo del prodotto.
È doveroso ricordare che l’EPA, a differenza dello IARC che classifica il glifosato come cancerogeno, è un’agenzia che si occupa di valutazione del rischio e non della sola classificazione basata sul pericolo, ovvero senza alcuna considerazione quantitativa della dose e dell’esposizione. Inoltre, essendo un ente regolatorio, le cui decisioni hanno dirette ricadute legislative, l’EPA ha disponibilità di dati più copiosi rispetto allo IARC che ha ruolo e modalità operative diverse.
L’altra recente notizia riguarda uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports svolto da Michael K. Skinner e dal suo gruppo di ricerca. Lo studio dimostrerebbe gli effetti dannosi del glifosato nella discendenza di ratti esposti, ma le conclusioni sono state contestate. Secondo il Gruppo Informale Scienze e Tecnologie per l'Agricoltura (SeTA) l'analisi ha diversi errori, che ne inficiano le conclusioni, a cominciare dalle dosi utilizzate nella sperimentazione, in quanto superano di gran lunga le dosi sicure definite da tutti gli enti nazionali e internazionali che hanno un qualche ruolo nella regolamentazione.
Inoltre, i risultati sono stati ottenuti con un metodo non rientrante nei protocolli indicati dall’OECD con una via di somministrazione, quella intraperitoneale, assolutamente non consona con la normale via con cui la popolazione entra in contatto con i residui di glifosato, cioè la via orale.
Per un uomo adulto di 70 kg, l'esposizione media giornaliera si aggirerebbe fra i 40 e i 60 ng/kg, che risulta essere fra le 400 mila e le 600 mila volte circa al di sotto delle dosi impiegate in questo studio.
Infine, lo studio rappresenta errori non solo di calcolo ma anche di spiegazioni dei meccanismi molecolari. Si fa confusione tra l’effetto epigenetico intergenerazionale e l’ereditarietà epigenetica transgenerazionale. La prima si riferisce all'effetto diretto di un agente sull’epigenetica della madre esposta ad una data sostanza e agli effetti di esposizione che la medesima ha sul feto.
Il termine intergenerazionale indica il fatto che una sostanza ha effetti epigenetici simultaneamente su madre e feto, dato che anche quest’ultimo ha direttamente preso contatto con l'agente in fase di studio, ma ciò non implica un passaggio reale di “informazione” tra generazioni. Invece si ha ereditarietà epigenetica transgenerazionale quando una sostanza induce una modificazione epigenetica nella madre, o nel padre e tale variazione epigenetica viene trasmessa alla prole, senza che la prole sia stata direttamente esposta.
Nello studio si fa confusione riguardo a questi due concetti e i dati ottenuti nelle generazioni non esposte direttamente al glifosato sono contraddittori nei confronti del meccanismo proposto, anche perché nelle generazioni successive, le modifiche sono diverse.
Da notare, a margine, che il lavoro di Skinner e del suo gruppo di ricerca non solo è stato finanziato da una fondazione già nota per finanziare programmi antiscientifici, come gli studi sui cambiamenti climatici e sulle cellule staminali, ma lo stesso gruppo in passato ha pubblicato dati inaffidabili e manipolati su altri studi che vengono pure citati in supporto del loro stesso lavoro.
In conclusione, non ci sono nuovi dati sul glifosato che possano far cambiare le conclusioni raggiunte da tutti gli enti regolatori internazionali, da ultima quella dell’EPA, sulla assenza di rischi tossicologici in senso generale e, specificamente anche cancerogeni, per l’uomo derivanti dall’uso del glifosato.
Bibliografia:
https://www.setanet.it/wp-content/uploads/2019/05/Glifosate_Skinner_et_al-review11.pdf
https://www.epa.gov/ingredients-used-pesticide-products/glyphosate